Via Mala
Il nome “Via Mala” dice già molto. E ripercorrendo questo antico tracciato (esisteva già nell’Alto Medioevo e venne rifatto tra il 1473 e il 1827) che collega la valle di Scalve alla Valcamonica, lungo la valle del Dezzo, la conferma arriva puntuale: i vertiginosi precipizi che terrorizzavano i viaggiatori del passato lasciano tuttora senza fiato, e anche se le auto utilizzano una nuova strada, quasi interamente in galleria, il vecchio itinerario può essere tranquillamente ripercorso. Si può, volendo, affrontare anche dal basso e cioè lungo il sentiero sul fondo della gola. Qui i precipizi si trasformano in pareti alte fino a 500 metri. E lo spettacolo è ugualmente suggestivo con un ponte osservatorio sulla stessa gola che ne è diventato il simbolo.
Tra le arterie panoramiche delle Alpi la Via Mala bergamasca detiene infatti un primato di spettacolarità che la colloca quasi alla pari con un’altra Via Mala molto più celebre. Si tratta della strada che collega Zillis, nel cantone svizzero dei Grigioni, capoluogo della valle dello Schons, e la cittadina di Thusis. Arteria antichissima, esisteva già nell’Alto Medioevo e venne rifatta nel 1473 e nel 1827.
La costruzione della Via Mala bergamasca (strada statale 294), che unisce i paesi di Dezzo e di Angolo, è molto più recente, anche se le forre del Dezzo erano frequentate fin dalla preistoria, come testimoniano gli antichissimi percorsi. Questo sentiero aveva la funzione di collegare trasversalmente i due versanti della valle; ma anche i romani hanno lasciato tracce della loro presenza in valle di Scalve con il sentiero (noto come sentiero «Lungo»), con il quale il materiale ferroso delle miniere di Schilpario veniva trasportato a Borno, in valle Camonica. Le pareti a precipizio e l’impeto del fiume che scende rombando sul fondo non dovevano intimorire più di tanto i montanari che si avventuravano lungo l’angusto sentiero, non più largo di 80 centimetri in alcuni tratti scavati nella roccia, che va dalla località Castello, in valle di Scalve, ad Angolo Terme. In totale sono una trentina i gli itinerari, tra cui molti sentieri, individuati grazie alla preziosa collaborazione di Manfredo Bendotti, di Colere, che li ha percorsi tutti. Un numero rilevante che pone in evidenza come la questione dei collegamenti con l’esterno sia stata cruciale per gli abitanti della valle, per i quali uscire dall’isolamento non era una semplice questione di comodità, ma di sopravvivenza. Ci si può immaginare quali problemi dovessero assillare la popolazione della valle di Scalve soprattutto d’inverno, quando neve e ghiaccio impedivano il transito per antiche mulattiere e colli. L’unico percorso, esposto d’inverno al pericolo di valanghe e comunque molto impervio e difficile, era quello che collegava Clusone con Dezzo attraverso il passo della Presolana. E si deve a questo precario collegamento il fatto che la valle di Scalve sia rimasta bergamasca quando, nel 1859, la valle Camonica passò dalla Provincia di Bergamo a quella di Brescia. Il primo progetto di un collegamento tra la valle di Scalve e Angolo risale al 1838 e venne messo a punto dall’ingegnere Dolci, di Almenno. Ma non se ne fece niente. Andò meglio per il progetto affidato nel 1857 all’ingegnere Fiorini di Darfo, per il quale si trovarono d’accordo alcuni comuni della zona, soprattutto quelli scalvini. Ma non fu una decisione facile, per la quale si dovettero superare campanilismi e diffidenze reciproche. A un sacerdote scalvino, don Pietro Bofelli, va il merito di aver premuto per il progetto e di aver sollecitato l’opera; a capo di una delegazione di valligiani andò a Torino, allora capitale d’Italia, ottenendo un sussidio governativo per il cantiere. I lavori iniziarono nel 1862 e tre anni più tardi la strada era già transitabile. E ci voleva quasi una bacchetta fatata per liberare gli abitanti della valle di Scalve dagli incubi della strada che arrivavano, puntuali, ad ogni stagione. Con le piogge primaverili e autunnali o con i temperali estivi fiumi d’acqua precipitavano dall’alto trascinando con sé fango, sassi e macigni. D’inverno c’erano le valanghe e il ghiaccio. Le masse di neve scaricate dai canaloni della Presolana e del Visolo, dopo aver interrotto la strada del passo della Presolana, precipitavano sulla Via Mala bloccandola. E le interruzioni duravano giorni e giorni tagliando ogni comunicazione e costringendo spesso i valligiani ad aprirsi la strada tra muraglie di neve lungo sentieri impervi e pericolosamente esposti.
La situazione precipitò nell’inverno nel 1960 quando, con le miniere di Schilpario già in difficoltà, la Via Mala restò chiusa impedendo il trasporto del minerale e pregiudicando la debole economia montana. Vennero costruite le prime gallerie paravalanghe e non vi furono più interruzioni. Altre gallerie furono scavate per rendere più sicura e percorribile la strada fin quando buona parte dell’antico tracciato andò in disuso e delle meraviglie della Via Mala, non più visibili per chi passa in auto nei tunnel, non se ne parlò più. Fino a poco tempo fa quando, di fronte al degrado e alla dispersione di un patrimonio storico e ambientale di notevole valore, sono scesi in campo quattro architetti con lo studio-progetto per il recupero e la valorizzazione non solo dei tratti panoramici della strada, ma di tutto il “sistema” Via Mala, per farne come un grandioso museo all’aperto. Province e Comuni hanno risposto all’appello, anche la Regione Lombardia ha incominciato a guardare con interesse la proposta.
Il primo lotto del progetto ha coinvolto il cosiddetto “tratto del Vallone” ed è stato finalizzato alla realizzazione delle prime opere connesse più direttamente alla valorizzazione dei luoghi, anche attraverso la messa in sicurezza dell’area: in particolare, è stato creato un percorso che permette di lambire il greto del fiume Dezzo e di raggiungere poi la “cascata di travertino”, una delle peculiarità geologiche della valle. Inoltre il progetto ha consentito pure il posizionamento di un balcone panoramico a sbalzo, che offre una visione complessiva dell’orrido della Via Mala. Il ripristino del tratto ha favorito, inoltre, un facile accesso a quello successivo, denominato “le Capanne”, unico per le caratteristiche suggestive del canyon, presentandosi sotto forma di strada scavata nella roccia con uno strapiombo di 80 metri sopra il fiume Dezzo».
Inoltre è stata ristrutturata la ex casa cantoniera 294 che è diventata uno sportello di informazione ed accoglienza turistica dalla collocazione strategica (per chi giunga dalla Valcamonica, Valtellina e Brescia), ma rappresenta altresì la porta di accesso di un percorso espositivo, naturalistico.
Una serie di pannellature posizionate internamente ai locali introducono la Valle di Scalve nelle innumerevoli peculiarità, spaziando dall’aspetto ludico – sportivo, ai risvolti storici della resistenza, al disastro della diga del Gleno, alla flora e fauna. Ma Canyon di Scalve è anche luogo di accoglienza.
All’interno dell’ex Casa Cantoniera, ora Infopoint di Scalve, vi è la presenza di una caffetteria e di un’assaggioteca.